UN’OCCASIONE PER LA PACE

Le condizioni meteorologiche e la situazione sul campo di battaglia suggeriscono che questo potrebbe essere il momento per interrompere le ostilità e riprendere i negoziati per un cessate il fuoco in Ucraina. Serve però un intervento diplomatico coordinato a livello europeo per interrompere quest’ennesima guerra fratricida sul nostro continente.

L’Inverno sta arrivando e potrebbe essere una buona notizia per chi – come noi – auspica il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco. Le attuali condizioni meteorologiche comandano un rallentamento delle operazioni militari, se non addirittura una loro momentanea interruzione. La neve fresca delle prime nevicate autunnali infatti complica ogni spostamento di truppe e mezzi sulle grandi pianure ucraine.

Anche la situazione sul campo di battaglia impone un arresto. Sul versante orientale, gli Ucraini sono riusciti a riconquistare Izjum e Liman, allontanando la linea del fronte dalla città di Karkiv e compromettendo la possibilità che i Russi arrivino a Slovjansk e Kramatorsk, una direzione a cui hanno comunque momentaneamente rinunciato, preferendo invece trincerarsi nella regione di Lugansk.  Sul versante meridionale invece è stata presa la «decisione difficile» anticipata dal Generale Surovikin, poco dopo essere stato nominato Comandante dell’«Operazione Militare Speciale» in Ucraina. Nonostante il referendum di Settembre e l’annessione di Kerson, le forze russe hanno infatti ricevuto l’ordine di abbandonare la città e ripiegare sulla sponda destra del Dnipro. Kerson era l’unica testa di ponte oltre il fiume, dal forte valore simbolico e strategico, ma estremamente difficile da difendere e soprattutto da approvvigionare. Ora in questo settore la linea del fronte è demarcata da un confine naturale che entrambi i contendenti potrebbero non riuscire più a valicare.

La Russia ha indubbiamente perso la spinta iniziale dei primi mesi dell’offensiva, dimostrando però di aver colpevolmente sottovalutato il livello di preparazione dell’esercito ucraino e il forte sentimento nazionale della popolazione civile, ma soprattutto di non avere mai avuto una chiara strategia militare per conseguire gli obiettivi politici che si era prefissata.

Surovikin lo sa e infatti aveva immediatamente descritto come «tesa» la situazione sul campo. Il suo realismo tattico ha convinto il Cremlino ad accettare un cambio di passo: non più avanzare, ma difendere i territori conquistati, in attesa che i «mobilitati» – i 300’000 riservisti richiamati alle armi dalla mobilitazione parziale – concludano il loro addestramento e di capire se sarà possibile una nuova offensiva, oppure limitarsi a mantenere le posizioni. Fino ad allora i Russi continueranno a colpire le infrastrutture strategiche ed energetiche ucraine, per logorare il nemico dietro le linee, non riuscendo ancora a vincerlo sul campo di battaglia. Perché è vero che Mosca sta usando solo una parte del suo potenziale bellico, ma è altrettanto vero che deve stare bene attenta a mantenere il conflitto limitato all’Ucraina, se vuole evitare il coinvolgimento diretto della NATO o il sorgere di crisi intestine alla Federazione Russa. A questo punto anche una soluzione negoziale potrebbe non essere esclusa, come ha ricordato il Ministro degli Esteri Lavrov al termine del G20 di Bali.

Tuttavia le autorità ucraine non hanno alcuna intenzione di concordare un cessate il fuoco. La conferma è un decreto firmato da Zelenskij in cui Kiev dichiara formalmente «impossibile» qualsiasi negoziato con il Presidente della Federazione Russa Putin.

Il Presidente ucraino non vuole interrompere la controffensiva. Deve promettere nuove vittorie, quantomeno per tenere alto il morale della popolazione, costretta al freddo e al buio dai bombardamenti russi. Kiev punta alla riconquista di tutto il territorio, come ribadito anche in occasione dell’ultimo G20, platea che Zelenskij ha sfruttato per proporre il suo piano di pace senza compromessi. 10 punti tra i quali spiccano il totale ripristino dell’integrità territoriale ucraina tramite il ritiro di tutte le forze armate russe, la creazione di un tribunale speciale per i crimini di guerra e l’ingresso dell’Ucraina nel sistema di alleanze politiche, economiche e militari euro-atlantiche – Unione Europea e NATO. Condizioni ovviamente inaccettabili per il Cremlino.

Zelenskij vuole proseguire i combattimenti, però sa bene che l’Ucraina da sola non potrà mai vincere questa guerra. Sfrutta i palcoscenici internazionali per chiedere agli alleati euro-occidentali maggiore sostegno militare ed economico, ma cerca costantemente il casus belli per trascinarli nel vortice di questo conflitto che loro stessi hanno scatenato nel 2014, come quando, in occasione del missile caduto per errore in territorio polacco, ha addossato la responsabilità alla Russia, nella speranza che si attivasse il sistema di sicurezza collettivo.

Sebbene la NATO e in particolare gli Stati Uniti siano coinvolti nella guerra in Ucraina fin dal principio, anch’essi hanno sempre operato in maniera tale da evitare che la guerra potesse estendersi e coinvolgere direttamente i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Quello in Ucraina deve restare un conflitto limitato, con obiettivi limitati, combattuto con armi convenzionali – non nucleari. Solo in questi termini si spiega l’incontro di Ankara tra il Direttore della CIA e il suo omologo russo, così come la tempestiva dichiarazione di Biden, attraverso la quale la Casa Bianca ha stabilito – prima che l’indagine fosse completata – che, data la traiettoria, fosse «improbabile» che il missile caduto in Polonia fosse stato lanciato dalla Russia, evitando così una probabile escalation e l’allargamento delle ostilità.

Con il costante lavoro di intelligence e la continua fornitura di armamenti, giunti alla cifra record di 18,6 miliardi di dollari negli ultimi 9 mesi, Washington continuerà – dalla cabina di regia – a dettare i tempi del conflitto. Sono infatti i sistemi lanciarazzi HIMARS che hanno permesso l’arresto dell’avanzata russa e la copertura – e quindi la riuscita – della controffensiva ucraina. E sarà probabilmente il sistema di difesa aerea HAWK a difendere le città ucraine dalle incursioni russe.

Ora però gli Stati Uniti vorrebbero un rallentamento delle operazioni militari. Anche il Generale Milley ha dichiarato che la stabilizzazione del fronte a Karkiv e a Kerson e le condizioni meteorologie costringono a un calo di intensità nei combattimenti e «questo potrebbe diventare uno spiraglio – o forse no – per una soluzione politica o almeno per l’inizio di colloqui per avviare una soluzione politica». Washington continuerà a sostenere Kiev nel tentativo di ripristinare la sua integrità territoriale, seppure nutra seri dubbi sulla reale fattibilità, perché sa che il Cremlino ha – momentaneamente – rinunciato a Kerson, ma non può permettersi di rinunciare anche alla Crimea e al Donbass.

Al Pentagono ritengono «che gli Ucraini debbano continuare a fare pressione sui Russi», niente di più, perché gli obiettivi strategici statunitensi in Ucraina sono già stati conseguiti. La Russia è impantanata in una lunga guerra di logoramento, dalla quale non può sottrarsi, a causa della vicinanza e dell’importanza strategica che riveste l’Ucraina nei piani del Cremlino. L’Europa, allontanata forzatamente da Mosca e intrappolata nella gabbia d’acciaio della NATO, vede sempre più ridotta la sua autonomia strategica e subisce tutte le conseguenze economiche di questo conflitto combattuto sul nostro continente. Inoltre è presumibile credere che Washington voglia progressivamente scaricare su di noi l’onere del sostegno militare e i costi della ricostruzione delle città ucraine, per potersi concentrare nel contenimento della Cina.

Per l’Europa invece la pace in Ucraina è una necessità. Le principali Cancellerie europee – Berlino, Parigi e Roma – dovrebbero arginare le follie partorite a Bruxelles e riprendere l’iniziativa diplomatica, abbandonata dopo la sottoscrizione degli accordi di Minsk nel 2015 e lasciata ormai nelle mani del solo Erdogan, magari sfruttando l’autorità spirituale del Papa e le capacità diplomatiche del Vaticano, da mesi impegnati nel tentativo di trovare una mediazione tra Putin e Zelenskij, come più volte ricordato da Papa Francesco.

Come scriveva Clausewitz: «Quando le due parti si sono armate per la lotta, un principio di ostilità deve averle spinte e fintanto che restano armate, finché non concludano la pace, questo principio deve essere sempre valido e non può poggiare in ambo i contendenti che su una sola condizione, l’attesa di una congiuntura più favorevole all’azione».

Idiplomazia come in guerra il tempismo è fondamentale. Se si vuole la pace, l’occasione è adesso. Si deve convincere i belligeranti a sottoscrivere un accordo per il cessate il fuoco entro le prossime settimane, fintanto che il fronte rimane stabile, prima che le temperature calino ulteriormente e sulla steppa ghiacciata tornino a muoversi uomini e mezzi per nuove offensive e controffensive.

Germania, Francia e Italia dovrebbero proporre la nomina di un Commissario Speciale per la Pace in Ucraina, incaricato di trovare un compromesso ragionevole tra Mosca e Kiev, perché l’Europa deve iniziare a esprimersi con un’unica voce. Deve individuare e perseguire i propri interessi strategici, a cominciare dalla pace in Ucraina e dalla riapertura di un dialogo con la Russia.

Zelenskij deve accettare il fatto che – nella situazione attuale – Putin non può rinunciare alla Crimea, a Donetsk e a Lugansk e sarebbe disposto anche all’utilizzo di armi nucleari pur di non privarsene, mentre l’Occidente sta terminando le scorte di armi da destinare all’Ucraina. Giunti a questo punto serve concordare un’immediata sospensione delle ostilità, che congeli il conflitto sugli attuali confini e predisporre la riapertura della Missione di Monitoraggio Speciale dell’OSCE, affinché verifichi l’effettivo rispetto della tregua.

L’Europa dovrebbe farsi coraggio e proporre a Kiev lo stanziamento di un contingente di pace europeo lungo tutta la linea di contatto, magari inizialmente nelle vesti dei «Caschi Blu» delle Nazioni Unite, la cui presenza in territorio ucraino garantirebbe che qualsiasi violazione del cessate il fuoco da parte russa colpirebbe dei soldati europei, allargando quindi il conflitto a tutto il continente, prospettiva che il Cremlino preferirebbe evitare. Agli occhi di Mosca il contingente europeo, dal quale dovrebbero essere ovviamente esclusi Stati Uniti, Canada e Turchia, ma anche Regno Unito, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania – poiché potrebbero tentare di sabotare il processo di pacificazione in quanto contrari a un riavvicinamento con la Russia – dovrebbe garantire che le forze armate ucraine non approfittino della tregua per continuare indisturbati i bombardamenti contro obiettivi civili e militari in Donbass, come invece denunciato per anni nei report quotidiani degli osservatori dell’OSCE e puntualmente ignorati in Occidente.

L’Europa dovrebbe inoltre garantire all’Ucraina un sostegno innanzitutto economico per la ricostruzione delle infrastrutture e delle città distrutte, ma vincolato al rispetto del cessate il fuoco e la partecipazione ai tavoli negoziali. Tali condizioni potrebbero anche favorire una progressiva integrazione politica ed economica dell’Ucraina nell’Unione Europea – ma non nella NATO – e allo stesso tempo consentire il ripristino dei precedenti accordi energetici tra la Russia e l’Europa e la revoca di tutte le sanzioni adottate dopo il 24 Febbraio.

La costante mediazione europea tra Mosca e Kiev deve servire al mantenimento del cessate il fuoco e lavorare affinché la tregua possa lentamente ricucire le ferite della guerra. Un percorso annunciato, ma non perseguito in seguito alla stipula degli accordi di Minsk. Successivamente si potrebbe anche aspirare a una progressiva smilitarizzazione della linea del fronte e promuovere periodiche consultazioni che potrebbero culminare in una Conferenza di Pace. Primo passo verso la costruzione di un’architettura securitaria continentale insieme – e non contro – alla Russia, finora impossibile a causa dell’aggressività della NATO.

Una soluzione che perfino Mosca dovrebbe tenere in seria considerazione, perché il Cremlino deve decidere se preferisce avere di fronte a sé un’Europa unita e in grado di definire una propria autonomia strategica nel nuovo mondo multipolare, oppure un’Europa debole, divisa, ma dominata dagli Stati Uniti e quindi perennemente ostile. Tertium non datur, non c’è una terza possibilità.

La nostra proposta di pace sarà forse irrealizzabile, soprattutto alla luce dei precedenti fallimenti, ma la si legga almeno come monito, perché l’Europa di domani sorgerà soltanto quando avremo compreso e interrotto la tragicità del ripetersi degli errori commessi dall’Europa di oggi.