IL RITORNO DELLA STORIA

Per oltre trent’anni, noi Europei ci eravamo illusi che il trionfo del liberismo politico ed economico avrebbe potuto uniformare il mondo intero secondo i valori dell’Occidente. Ci eravamo cullati nel sogno ingenuo che l’umanità avesse ormai raggiunto la sua meta, il culmine della sua evoluzione storica, come se l’uomo possa mai dirsi pienamente compiuto e non in un eterno divenire. Ci eravamo illusi di essere finalmente riusciti a bandire la possibilità – e perfino l’idea stessa – del conflitto e della guerra. Con il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda ci eravamo convinti di entrare in una nuova fase storica, tanto colmi d’arroganza da proclamare addirittura la fine della Storia.

Credevamo che i confini avessero perso qualsiasi importanza politica, storica e culturale, superati dall’utopia – il non luogo – della globalizzazione. Credevamo che le guerre non potessero più essere uno strumento di risoluzione delle controversie tra gli Stati, sostituite dalle organizzazioni di cooperazione internazionale. Credevamo che le ideologie e le religioni avessero esaurito la loro capacità di mobilitazione delle masse. Credevamo che in una società individualizzata i contrasti sociali si sarebbero attenuati fino a scomparire. Credevamo di poterci ormai preoccupare soltanto del nostro benessere, illudendoci che la mano invisibile del mercato avrebbe regolato le nostre esistenze e risolto da sé tutte le contraddizioni interne dei nostri sistemi politici ed economici.

La nostra sconfitta militare nella Seconda Guerra Mondiale e la successiva spartizione del nostro continente in due sfere d’influenza, che rispondevano rispettivamente agli Stati Uniti a Ovest e all’Unione Sovietica a Est, hanno annichilito l’Europa, facendole perdere il suo storico ruolo di protagonista della politica internazionale e relegandola a una condizione di passività e impotenza. La Guerra Fredda congelò le relazioni internazionali in due solidi blocchi contrapposti, generando però, almeno sul Vecchio Continente, un’anomala lunga pace all’ombra del confronto bipolare tra Washington e Mosca. Questa ibernazione durata mezzo secolo ci ha fatto sprofondare in un lungo letargo geopolitico. Un letargo tanto profondo che né il crollo del Muro di Berlino e il collasso dell’Unione Sovietica, né tantomeno le guerre in Jugoslavia e la guerra civile in Ucraina erano riusciti a destare.

Noi Europei avevamo – più o meno consapevolmente – deciso di sottrarci alle dinamiche storiche, ma non per questo la Storia ha interrotto il suo corso. Fino al 24 Febbraio 2022 abbiamo vissuto come dei sonnambuli e la riesplosione della guerra in Ucraina è stato un risveglio tanto brusco, quanto profondo era il nostro sonno. Soltanto ora iniziamo a renderci conto che la globalizzazione era tale perché garantita dalla capacità di proiezione militare statunitense su scala mondiale e che l’ordine internazionale costruito al termine della Guerra Fredda dagli stessi Stati Uniti, divenuti nel frattempo l’unica super-Potenza egemone del globo, avrebbe potuto essere considerato ingiusto dalle altre Potenze in ascesa. Soltanto ora che abbiamo perso il controllo della catena di approvvigionamento dell’energia e delle materie prime, iniziamo a renderci conto che la nostra economia non può fondarsi sulla digitalizzazione dei servizi e sulla speculazione finanziaria.

Il 24 Febbraio 2022 è stato un punto di svolta decisivo, un evento spartiacque della Storia contemporanea. La guerra è tornata una possibilità concreta sul nostro continente e noi Europei non possiamo più ignorarlo. Ma questa svolta era stata preannunciata.

Fin dai primi anni del suo insediamento al Cremlino, Putin ha sempre dichiarato di considerare la disgregazione dell’Unione Sovietica come la più grande catastrofe geopolitica del Novecento. Lontano e privo di qualsiasi nostalgismo per l’ideologia sovietica, il Presidente della Federazione Russa vedeva però nell’URSS la massima potenza ed estensione territoriale mai raggiunta dalla Russia e ha fatto della riconquista della passata gloria la stella polare della sua presidenza. Il tragico epilogo dell’esperienza sovietica e il fallimentare esperimento liberale di Eltsin hanno indebolito e umiliato la Russia, permettendo alla NATO – un’alleanza politica e militare a guida statunitense, creata in funzione anti-russa agli inizi della Guerra Fredda – di espandersi verso Est, in quella che fino a pochi anni prima era la sfera d’influenza dell’Unione Sovietica. Nonostante le innumerevoli promesse e rassicurazioni fatte al Cremlino in merito al fatto di non avere alcuna intenzione di estendere i confini dell’Alleanza Atlantica oltre la Germania riunificata, la NATO è arrivata a minacciare Mosca sempre più da vicino, spostando la Cortina di Ferro sul Baltico e sul Mar Nero, anziché tentare di edificare un’architettura securitaria in Europa, condivisa con la nuova Russia non più sovietica.

In un discorso tenuto alla Conferenza sulla Sicurezza nel 2007, Putin aveva già messo in guardia i leader mondali, senza troppi giri di parole, di considerare «inaccettabile» un mondo unipolare dominato dall’arrogante egemonia degli Stati Uniti, sottolineando l’inevitabile ascesa di nuovi centri di potere e quindi la transizione verso un nuovo mondo multipolare. Il Presidente della Federazione Russa aveva inoltre definito provocatorio l’allargamento della NATO, iniziando a ipotizzare la possibilità di stabilire delle linee rosse alla sua ingiustificata espansione orientale, giunta nel frattempo ai confini del Mondo Russo e aprendo pericolosamente alla possibilità di ingresso anche a Ucraina e Georgia.

Proprio l’Ucraina rappresenta un perno geopolitico fondamentale, come riconobbe Brzezinski, Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense durante la presidenza Carter, ne La Grande Scacchiera, un volume del 1997 che indicava agli Stati Uniti una nuova geo-strategia eurasiatica dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda. Privata dell’Ucraina, si sarebbe potuto provocare «un allontanamento della Russia dall’Europa e una sua deriva verso l’Asia». È infatti proprio all’indomani del colpo di Stato di EuroMaidan, che ha portato al potere un’oligarchia filo-occidentale con la dichiarata intenzione di rompere lo storico legame che intercorreva tra Kiev e Mosca, che l’allora Presidente degli Stati Uniti Obama definì la Russia una potenza regionale.

Dopo aver sottratto l’Ucraina dall’orbita della Russia, gli Stati Uniti – e la NATO – hanno continuato a sostenere e incoraggiare i nuovi Governi ucraini nel proseguimento della guerra civile che dalla Primavera del 2014 ha diviso il Paese tra nazionalisti ucraini e separatisti filo-russi. Una guerra civile che fin dal principio ha preso la forma di una guerra per procura tra la Russia, che sosteneva le milizie delle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk nella regione del Donbass, e l’Alleanza Atlantica, che ha iniziato ad armare e addestrare l’esercito ucraino. Se è vero che l’Ucraina non era ancora entrata nella NATO, è altrettanto vero che la NATO era già entrata in Ucraina. Dal 2014 sul territorio e nelle acque territoriali ucraine si svolgevano esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti e la NATO – Rapid Trident e Sea Breeze – in chiara funzione anti-russa e nel 2019 il Presidente ucraino Porošenko aveva addirittura fatto inserire in costituzione la volontà di entrare nell’Alleanza Atlantica e nell’Unione Europea.

Le linee rosse poste da Mosca erano state valicate. Nel Dicembre 2021 la Russia ha proposto agli Stati Uniti e alla NATO una bozza per un accordo sulle garanzie di sicurezza reciproche, che è stata però ignorata. L’Alleanza Atlantica ha invece continuato a sostenere la politica delle porte aperte, aumentando così le già grandi preoccupazioni del Cremlino. L’invasione dell’Ucraina è stata quindi la risposta di Mosca all’aggressione occidentale verso la Russia, costretta – dal suo punto di vista – a reagire per riconquistare una dimensione e una narrazione imperiale, ottenendo nuovamente il riconoscimento internazionale dello status di grande Potenza.

La soluzione militare non era l’unica strada percorribile, il Cremlino ha però interpretato il tumultuoso passaggio di presidenza Trump-Biden, culminato con l’assalto a Capital Hill, le proteste di Black Lives Matter e il ritiro dall’Afghanistan come dei segnali di debolezza degli Stati Uniti. Inoltre le dichiarazioni dell’intelligence anglo-americana, che dava per certa e immediata l’invasione russa dell’Ucraina già agli inizi dell’Inverno del 2021, lo spostamento dell’ambasciata statunitense in Ucraina da Kiev a Leopoli, il ripiegamento di tutto il personale militare USA e NATO in Polonia, sommati alle dichiarazioni di Biden e Stoltenberg secondo cui, in caso di escalation militare, l’Occidente avrebbe risposto solo con delle durissime sanzioni economiche e l’Alleanza Atlantica sarebbe intervenuta solo in difesa degli Stati membri, hanno convinto Putin che quello fosse il tacito consenso di Washington alla spartizione dell’Ucraina.

Con l’inizio della sua «Operazione Militare Speciale», la Russia ha accettato di rompere, almeno temporaneamente, i suoi rapporti con l’Europa, considerata ormai totalmente subordinata agli interessi statunitensi. Rapporti tuttavia già compromessi dall’adozione delle sanzioni e delle contro-sanzioni economiche in seguito all’annessione della Crimea nel 2014 e dalla recente decisione tedesca di bloccare l’entrata in funzione del gasdotto Nord Stream 2, nonostante fosse già ultimato. A Mosca è stata offerta la possibilità di ridisegnare con la forza i confini del Mondo Russo, sapendo però che il suo orizzonte non sarebbe potuto andare oltre, perché costretta ad affrontare una nazione ucraina unita dal sentimento anti-russo, che gli si oppone in armi col sostegno decisivo, seppure indiretto, dell’Occidente.

Il conflitto, al momento, è ancora limitato all’Ucraina, ma le sue conseguenze si ripercuotono già a livello globale e comunque andrà a finire – se sarà destinata ad allargarsi o proseguire a bassa intensità – questa guerra ha aperto una nuova era storica e rivelato la necessità di un nuovo ordine internazionale.